Le nostre radici

Il Giardino delle beghine trova le sue radici in donne del passato, amanti della libertà femminile e dell’indipendenza dalla tutela maschile, chiamate appunto Beghine.

Chi erano queste donne che affiorano verso la fine del XII secolo e perché erano guardate con sospetto sia dalla società religiosa che civile?

Il movimento delle beghine coinvolge donne con diverse esperienze di vita, di varie età e classi sociali e integra elementi laici, autonomia ben espressa dalle loro abitazioni individuali all’interno dei beghinaggi, lavoro retribuito, ed elementi religiosi con intensa vita di preghiera e ricerca mistica. Sono donne capaci di vivere in modo indipendente e comunitario, senza essere inserite in alcuna struttura clericale e senza controlli dell’autorità maschile. Sono per questo considerate in alcune fonti, il primo movimento femminista.

- liberamente tratto da Tre voci per l’amore di Martina Bugada e Silvana Panciera
autrice del libro "Le beghine" e del video che ripercorre la storia della nascita del movimento beghinale

Hadewijch d’Anversa
(ca. 1250)

«Chiunque costruisce la sua vita sull’amore puro e vero e lo rischiara con la sua lucida ragione,
l’amore lo nutrirà con la sua parola: sarà iniziato e sarà chiamato ‘maestro’»



Non abbiamo notizie certe della vita di Hadewijch. Sappiamo che è vissuta tra la fine del 1100 e il 1200. Di lei, beghina fiamminga, maestra di beghine, restano gli scritti, considerati i più belli della mistica medioevale: Poesie, Visioni, Lettere. Romana Guarnieri, studiosa del movimento beghinale, la chiama “amica, compagna, maestra” e di lei scrive: “donna divorata da un amore inquieto, insaziabile, che non perdona, felice e dolorante, a volte disperato, brutale, capace di mettere in questione tutto, ma proprio tutto, come Giobbe; lei, poeta, visionaria, maestra, lei, nella sua verità, nella sua arte e cultura, intelligenza e libertà: viva, fra tortura e gioia; insofferente e giocosa, a volte tenera, a volte cruda nello scherno, durissima. Reale, inafferrabile. Bellissima. Tale la conobbi, e fu per me, con me”.

Il suo messaggio alimenta anche oggi la nostra vita per la sua attualità, la sua verità, il suo sapere unire la profondità della vita terrena con gli spazi infiniti dell’inconoscibile. Alcuni suoi versi sono orizzonti per noi:

“Chiunque costruisce la sua vita / sull’amore puro e vero
e lo rischiara con la sua lucida ragione,
l’amore lo nutrirà con la sua parola: / sarà iniziato
e sarà chiamato ‘maestro’. (e maestra aggiungiamo noi).

Christina di Sint-truiden detta Mirabilis
(ca. 1160-1224)

«In ogni male compiuto c’è una parte di responsabilità comune»



Il dominicano Tommaso di Cantimpré ha scritto la vita di questo "extatica" o "admirabilis" nata nel 1150 o 1160 a Sint-Truiden e morta nel 1224.

Avviata dalla famiglia per diventare una pastora o una mandriana, Christina conosce le sue prime esperienze mistiche mentre è al pascolo. Dopo una malattia, da cui miracolosamente guarisce, inizia una vita di predicazione itinerante nella diocesi di Liegi. Dalle notizie sparse su di lei si dice che infliggesse al suo corpo durissime prove, che avesse doti di fachiro e capacità vicine allo sciamanesimo. Muore nel 1224 ed è sepolta nel monastero benedettino dove era stata malata per tre settimane. Attualmente i suoi resti si trovano nel santuario dei Redentoristi di Stennaert.

L'orientalista Louis Massignon (1883-1962) fu molto colpito da questa donna, il cui culto è stato approvato da Pio IX nel 1857 e, su invito del rettore dei redentoristi, ha preparato, in occasione del 7 ° centenario della morte di Christina, una conferenza tenuta il 24 luglio (data anniversario della morte) 1924. Il testo è stato poi pubblicato in La cité chrétienne e in un volume nel 1950.

Mechthild di Magdeburg
(ca. 1209-1282)

«O Dio, che riposi sul mio seno… Tu sei il cuscino del mio giaciglio»



Mechthild nasce in una famiglia aristocratica della Sassonia intorno al 1209.

A 12 anni riceve la sua prima esperienza mistica come scrive nel suo libro «La luce fluente della divinità (IV, 26)». Questo evento le fa lasciare la casa paterna e andare nella comunità di beghine a Magdeburgo, dove conduce una vita dedicata alla preghiera, alla penitenza e ai suoi straordinari incontri con Dio.

Solo nel 1250, su consiglio del suo confessore, inizia a scrivere le sue visioni su fogli sparsi, che poi raccolti diventano La luce fluente della Divinità, un testo che lo stesso Eckhart conoscerà in seguito. Mechthild completerà la sua opera solo alla fine della sua vita. Questo lavoro le porterà ammiratori, ma anche molti avversari, specialmente tra il clero di alto rango, incluso il papa, che lei non aveva esitato a fustigare.

Questa ostilità la costringe a 60 anni a lasciare la comunità di Magdeburgo per trovare protezione prima nella sua famiglia e poi nel convento cistercense di Hefta, con la badessa Gertrude von Hackerbon. Nella pace di questo convento, completa il suo lavoro e muore, come monaca cistercense, nel 1282.

Ingrid di Skänninge
(1220-1228)

«Immersa nel mistero profondo della croce»



Ingrid, proveniente da una famiglia svedese di spicco, apparteneva a un gruppo di beghine che dedicavano la propria vita alla preghiera e al servizio dei poveri.

Nel processo di canonizzazione di questa beghina, il suo cappellano, il domenicano Pietro di Dacia, riferì che Ingrid aveva smesso di mangiare carne, raramente beveva birra e raramente consumava latticini. Descrisse anche alcune delle sue potenti esperienze mistiche.

Come altri mistici medievali, Ingrid si "permette" di sperimentare la Passione di Cristo essenzialmente il venerdì. Testimoni hanno riferito che Ingrid, rivivendo la Passione di Cristo, sarebbe caduta in estasi, a volte portando le stimmate e altri segni della sofferenza di Cristo sul suo corpo.

Negli ultimi anni di vita, Ingrid faceva parte di un gruppo di beghine che abbracciarono il carisma domenicano, come fecero molte beghine scandinave alla fine del 1200.

Margherita Porete
(ca. 1250-1310)

«Dio è Amore, Amore è Dio»



Margherita Porete, nata nell’ Hainaut (Francia del Nord) intorno al 1250, grande mistica intellettuale, nel 1290 fa conoscere il suo libro "Lo specchio delle anime semplici e annichilite che solo dimorano in volere e desiderio di amore." Il testo circola rapidamente in Francia tra le contemplative, viene condannato una prima volta e bruciato nella piazza di Valenciennes e ne viene vietata la lettura sotto pena di scomunica.

Marguerite viene citata in giudizio per un secondo processo, consegnata al tribunale dell'Inquisizione, imprigionata per più di un anno e, per la sua fermezza e coerenza, condannata a morte e messa al rogo a Parigi alla Place de Grève - oggi Place de l’Hotel de Villa – il 1 giugno 1310. L'originale del libro, in lingua piccarda fu perduto; sopravvisse una versione in lingua vernacolare francese del XV secolo che fu poi utilizzata per le traduzioni in inglese, italiano e latino.

È la storica Romana Guarnieri che ne identifica l’autrice e lo pubblica per la prima volta nel 1962. Per Margherita il rapporto anima Dio si basa sul "puro amore" e non sull'obbedienza alle virtù. Dio è Amore e l'Amore è Dio.

Ida van Leeuw
(ca.1260)

«Ida: I retta via, D Dio, A amore»



Ida nasce a Gors-Opleeuw (Belgio). I suoi genitori sono Giselbert e Ida.

Fu cresciuta dalle beghine di Borgloon e all'età di 13 anni si unisce al monastero cistercense di Rameige (o Rameien), oggi Klein-Geten. Ida é una mistica, che sviluppò una grande devozione per l'Eucaristia. Ha accuratamente descritto il suo percorso spirituale. Ida pensò che il suo nome stimolasse una vita devota. L'I significava la retta via, la D per Deus (Dio) e la A per Amor (amore). Muore intorno la 1260.

La festa di Ida van Leeuw è il 29 ottobre. In passato si pensava erroneamente che questa Ida sarebbe arrivata da Zoutleeuw, dove c'era anche un beghinaggio. Non va confusa con la cistercense Ida di Leuven, conosciuta anche come Ida van Leeuw. Un anonimo cistercense ha scritto una sua Vita.

Julian of Norwich
(1342–1413)

«All shall be well (Tutto sarà bene)»



Giuliana di Norwich vive reclusa in una cella adiacente alla Chiesa di San Giuliano a Conisford, Norwich, capitale del Norfolk, in Inghilterra, nel cuore di questa città potente e prospera che nel XIV secolo è seconda per importanza solo a Londra, perchè sulla "rotta della lana" che collega lo Yorkshire alle Fiandre.

Venerdì 13 maggio nel 1373, Julian riceve 16 rivelazioni sulla passione di Cristo e la Trinità che ci ha lasciato nel testo Revelations of Divine Love, Libro delle Rivelazioni. E’ una meditazione tra l’autobiografia spirituale e la teologia.

Ha impiegato 20 anni per scriverlo, riscriverlo e perfezionarlo. Al centro del suo messaggio c’è la misericordia di Dio: All shell be well (Tutto sarà bene) spesso ripetuto nel libro delle Rivelazioni. Cristo è il grande amante, oltre il clima spirituale del tempo, quello dell'Uomo dei dolori. La maternità di Dio, Dio madre, è una delle sue affermazioni più originali. "La cara e gentile parola Madre è così dolce e buona che non si può davvero dire di nessuno e di nessuna se non per mezzo di lui e per colui che è la vera Madre della vita e di tutto" (c. 60). Donna geniale, scrittrice riconosciuta, dona al mondo la sua gioia interiore.

Lydwine van Schiedam
(1380-1433)

«Con gioia e coraggio donò per amore ogni goccia di dolore»



Lydwine, Liduina, mistica olandese, il cui culto come santa è stato confermato nel 1890 da papa Leone XIII, era l'unica figlia femmina di una coppia con otto figli maschi.

A seguito di una caduta sul ghiaccio, all'età di 15 anni, Liduina restò paralizzata e trascorse il resto della sua vita a letto. L'invalidità aumentò progressivamente, e negli ultimi anni di vita, oltre ad avere problemi di vista, poteva usare solo la mano sinistra. “Viveva in una stanza buia: un’eremita involontaria” (Van Oerle).

Per la sua forza d'animo e la sua crescente fama, molti contemporanei, specialmente malati cronici, ma anche notabili importanti, andavano a trovarla per riceverne consiglio e conforto. Ebbe molte visioni e apparizioni e fu anche tacciata di isteria, di anoressia nervosa. Morì all'età di 53 anni.

Dopo la morte, la sua tomba, su cui fu costruita una cappella, è divenuta meta di pellegrinaggi. Secondo le agiografie Lydwine avrebbe avuto le stigmate. La prima Vita fu scritta un anno dopo la sua morte dal nipote Jan Gerlachssohn, che la conobbe personalmente e abitò alcuni anni nella sua casa. Vennero poi scritte diverse Vite di lei. Tra esse, una in latino di Tommaso da Kempis (1448).

Francesca Romana
(1384-1440)

«Chiedeva l’elemosina del pane, pronta a ricevere con giubilo e letizia incredibile»



Francesca Romana, Franceschella come viene chiamata in famiglia, nasce nel 1384.

È una bambina saggia e precoce, che costruisce in casa un piccolo eremo, come luogo del suo incontro con Dio. Le consuetudini del tempo la costringono a sposare Lorenzo de’ Ponziani, e questo scatena in lei una malattia psicosomatica, guarita con una visione celeste, che le ridona serenità a pace interiore.

La ricca casa Ponziani, con il sostegno nella cognata, diventa un punto di riferimento per i molti bisognosi della città. Con semplicità Francesca accetta la vita coniugale, il marito, i tre figli. La peste e la guerra, che causano gravi sventure familiari, non piegano il suo animo, sostenuto dalla presenza misteriosa del suo angelo custode, che lei quasi “sente” camminare accanto a sé. Roma, saccheggiata e umiliata, trova in lei un modello di fede e una guida. Investe tutte le sue ricchezze per curare i malati e i bisognosi e, quando le risorse sono esaurite, per continuare la sua opera, diventa mendicante in Trastevere.

Con un gruppo di amiche fonda un sodalizio di Oblate, alle quali affida in particolare l’assistenza dei poveri, le Oblate di Torre de’ specchi.

Romana Guarnieri
(1913-2004)

«Amiche mie, carissime beghine, povere, ma libere»



Romana Guarnieri era una studiosa appassionata e straordinariamente generosa.

Così scrive di lei Luisa Muraro: «Parlando con lei mi resi conto quasi subito che avevo trovato la depositaria delle ricchezze, da me appena intraviste, della teologia mistica femminile, protagoniste di una stagione ammirevole della civiltà europea, tra il basso Medioevo e l’alba della modernità.

Il nostro è stato un lungo incontro, scandito da regolari soggiorni in casa sua, da lunghe conversazioni e da qualche escursione extra moenia. Tutto è stato bello, niente è stato facile, proprio come doveva essere.

Romana mi raccontò, per cominciare, della sua amicizia con don Giuseppe De Luca, della sua conversione alla Chiesa cattolica e della loro intensa collaborazione nella casa editrice che avevano fondata insieme… Imparai a conoscerla.

Lei non prendeva le misure dalla cortesia convenzionale né da altre esteriorità, ma dall’interiorità... aveva un dono speciale, amava le anime e aveva sempre una finestra spalancata sul cielo…Al centro della sua conversione e della sua fede Romana metteva l’amicizia e l’amore di Gesù, lo chiamava proprio così. Interrogata da me, disse che erano superiori all’amicizia e all’amore che la legavano a don Giuseppe.

Sì, era una donna libera e lo era grazie a Dio. Era una beghina.

Ivana Ceresa
(1942-2009)

«Sono la beghina di ogni tempo… amo alla maniera delle beghine»



Ivana Ceresa nasce nel 1942 in provincia di Mantova, città dove poi abiterà fino alla sua morte nel 2009. Fin da giovane avrebbe voluto diventare teologa, ma dovrà aspettare il Concilio Vaticano II per poter accedere alla facoltà di teologia.

Il suo libro “Dire Dio al femminile” esprime il suo pensiero sulla necessità di un esodo dal patriarcato e dal sessismo. Ivana si definiva una beghina: “io sono la beghina di ogni tempo, perché sono una beghina un po’ in incognito…Amo alla maniera delle beghine, in modo anticonformista e un po’ trasgressivo” La sua amicizia con Romana Guarnieri e con Luisa Muraro, grandi studiose del mondo beghinale, ha rinforzato questa sua scelta: “essere beghina oggi è continuare la scelta di queste donne, cioè vivere nel mondo senza essere del mondo

Nel 1996, Ivana realizza la sua opera più importante: la fondazione dell’Ordine della Sororità di Maria SS. Incoronata, riconosciuta dal vescovo di Mantova, Egidio Caporello, il 18 marzo 2002. Nell’introduzione alla Regola dell’Ordine della Sororità Ivana fa riferimento alle beghine del Nord che ama per la loro forte libertà femminile, la loro autonomia e indipendenza da ogni controllo maschile.

Ivana Ceresa, Mie carissime sorelle, Ed. Paoline MN, 2010; L’utopia e la conserva, Tre Lune Edizioni, MN, 2011

Maria Leporini
(1951-2015)

«Fa’ che non si perda tutto questo amore»



Ultima di sei figli, Maria nasce da una famiglia povera che amava definire “capace di affetti sereni e di allegria”. A 14 anni decide di far parte della congregazione delle Stimmatine, fondata da Anna Fiorelli Lapini (1809-1860), quando nel 1850 creò l’Istituto delle Povere Figlie delle Sacre Stimmate di San Francesco d’Assisi. Maria approfondirà la vita della fondatrice grazie alla sua tesi di laurea in teologia (1989).

Nel 1986, decide insieme ad altre consorelle di andare a vivere nel quartiere romano di Tor Bella Monaca, la periferia degradata della capitale, dove insieme a Tilde a alla gente del posto, avvia un percorso di “autoformazione”. Docente di sostegno, nel 1995 entra di ruolo nella scuola elementare dove eserciterà la sua missione di “lavoro educativo in quartiere”.

Dal 1998 si forma alla terapia dei fiori di Bach e vari altri indirizzi terapeutici grazie ai quali aiuterà molte persone. Nel 2009 “si congeda dalle stimmatine per fedeltà alla propria coscienza e alla propria vocazione” e continua il suo impavido impegno per una trasformazione del mondo, schierata come sempre dalla parte dei più poveri, definendosi da allora “nuova beghina”.

Sbrogiò Adriana e Cazzaniga Marco (a cura di), Le nuove beghine, Identità e differenza, Spinea, 2014; Adriana Sbrogiò, Tilde Silvestri, Maria Cristiana Solari, Fa che non si perda tutto questo amore!In memoria di Maria Leporini, Identità e differenza, Spinea, 2015.